Quando si parla di impegno delle donne in politica si deve parlare di autodeterminazione delle stesse, con tutte le difficoltà che ci sono e anche gli squilibri. Sappiamo benissimo che non si parte dallo stesso start di partenza degli uomini, ma sappiamo anche che se si decide di fare una scelta quella deve essere la via maestra e non deviazioni grazie ad altri personaggi politici.
La Ingardia e la mancata autorevolezza
E’ sempre sorridente a zoom di fotocamera e negli eventi pubblici, non si mette in discussione il ruolo nel mondo della scuola, dal quale proviene, e nemmeno la persona. Qui si parla di politica. Di quella cosa che sei chiamata a rappresentare quando fai un percorso, quando ami la politica e non perché qualcuno ti ha messo lì. Il messaggio che passa è devastante. E’ stata voluta in giunta da un uomo, alla stessa è stato chiesto di lasciare spazio, quindi dimettersi, poi è stata ripresa e messa al suo posto. Tutto ad opera di giochetti politici voluti da Enzo Sturiano e dal sindaco Massimo Grillo. La Ingardia accetta e ubbidisce. Va. Torna. Resta.
In tutto questo viene svilito il ruolo di donna, che rappresenta la politica e le Istituzioni pure.
Oltre le bomboniere, verso l’autorevolezza
La narrazione del ripescaggio della Ingardia è stucchevole o peggio ancora simbolica. Ed è lei stessa a dire, in silenzio, che le donne vengono celebrate come “presenze” invece che come “presenze pensanti”.
Ha riportato in auge la Ingardia il vecchio, ma evidentemente attualissimo, concetto delle donne ridotte a quote rosa da esibire come gesto di modernità, piuttosto che protagoniste autorevoli del dibattito pubblico.
Una politica seria e inclusiva, invece, non ha bisogno di bomboniere né di decorazioni: ha bisogno di competenze, visione e coraggio. Qualità che molte donne hanno e dimostrano ogni giorno, dentro e fuori dalle Istituzioni. Ma che non ha dimostrato la Ingardia. Anzi, ha dimostrato che una volta entrata nei meccanismi del potere ha finito per adottarne le logiche peggiori.
La retorica vuota della solidarietà femminile
Non basta essere donna per essere brave e per avere, tout court, la solidarietà di altre donne. Bisogna esserci con contenuti e con coerenza. E questo vale per tutti, certo, ma nel caso delle donne il peso delle aspettative e il rischio della strumentalizzazione rendono ogni passo più significativo.
Ciò che serve è una politica in cui le donne non siano scelte perché donne, ma anche se donne. E le donne, quindi la Ingardia, che decidono di intraprendere la strada pubblica devono essere consapevoli di rappresentare non solo sé stesse, ma un'idea diversa di potere. Siamo oramai abituati a sentire ripetere, come un mantra, ovunque che “le donne devono supportarsi a vicenda”…“una donna non giudica un’altra donna”. Smettiamola con questo retaggio, che uccide ancora di più la vera essenza delle donne, aspettarsi complicità automatica tra donne è una semplificazione dannosa. Quindi stop alla stupida retorica della solidarietà femminile, che rischia quindi di diventare un placebo sociale. Se una donna non è capace di assumere il ruolo bisogna dirlo, serve onestà e non ipocrisia.
Una riflessione amara sulla politica al femminile
Accanto a belli esempi di donne capaci e autorevoli esiste un'altra realtà: quella di donne che, una volta conquistato un ruolo politico e istituzionale, scelgono consapevolmente di restare simboli decorativi, bomboniere da esibire in nome dell’inclusività.
Perché la Ingardia torna a fare l’assessore? Perché ha finito per accettare un ruolo subalterno che le garantisca visibilità, vantaggi, piccoli poteri e la sensazione di “esserci” senza davvero esserci. Non è lei che decide. Ma è lei che ha deciso di essere strumento di altri. Non costruisce leadership ma si adatta a ciò che conviene. Si tratta di quelle classiche donne che quando capita di criticarle la reazione è spesso una difesa vittimistica: “Ce l’avete con me perché sono donna.” No, il punto non è essere donna. Il punto è essere vuota. Non si può pretendere rispetto se si accetta un ruolo da ornamento, invece che da protagonista.