Quotidianamente mi chiedo: ma tanto, questi libri, a che servono? In Sicilia, secondo l’ultima indagine statistica dell’Associazione Italiana Editori, un siciliano su due non legge. Ultima tra le regioni italiane.
D’altronde, mi dico, anche se leggessero, cosa cambierebbe? “L’italiano non è l’italiano”, scriveva Leonardo Sciascia in un librino che si potrebbe leggere in un pomeriggio, “è il ragionare”. Ma oggi la produzione editoriale italiana spinge al ragionamento? Favorisce la riflessione? Incendia qualche animo?
Basterebbe soffermarsi sull’ultima tendenza letteraria per farsi due domande.
Ci stavamo tanto abituando alla stagione dell’autofiction, del memoir, del disporre la propria vita sulla pagina come se ogni accadimento fosse di per sé letteratura, quando si è insinuata una nuova varietà di questa gramigna: il racconto del proprio disagio psichico.
L’aggettivo “proprio” è da intendere in senso esteso: può essere un disturbo personale o di un familiare o di un conoscente dello scrivente. Stefania Vitulli sulle pagine del Giornale ha provato a raccontarne alcuni, ai quali si potrebbe aggiungere il caso editoriale einaudiano di Alcide Pierantozzi, Lo sbilico.
Adesso, torno a chiedermi, a fronte di questa consistente produzione interessata al tema del disagio psichico, qualcuno si sta accorgendo – in Sicilia o altrove – che la maggioranza destrorsa del parlamento italiano sta provando a smantellare la Legge Basaglia? Manicomietti diffusi sul territorio, reintroduzione della contenzione forzosa, TSO utilizzato come formula generica di somministrazione da prolungare quasi fosse una vera e propria detenzione. Ne ha scritto molto bene Filippo Sensi su Domani.
Adesso mi si accuserà di funzionalizzare la letteratura. Sì, è così. E allora? Abbiamo bisogno che un libro scuota la nostra coscienza, che ci faccia accorgere del mondo. Non ci serve soltanto una letteratura che ci distragga, che viva della sua estetica.
Belli tutti questi romanzi che seguono la ferita oscura dell’anima. E poi? Come ci sentiamo? Cosa possiamo fare per accorgerci, nella nostra vita, che questo dolore che raccontano non è solo sulla pagina?
In Sicilia legge un siciliano su due. Ma non mi sembra comunque che al Nord, da cui ragguardevole è il distacco statistico, si respiri aria di illuminismo a riguardo.
L’indifferenza, ahinoi, è generale.
Non concentriamoci su quanti libri leggiamo o no. Concentriamoci sul nostro sguardo: è ancora aperto e pronto per osservare il mondo?
A questo punto domandiamoci come possiamo nutrirlo. Ecco quando arrivano i libri, i film, i concerti.
Qualche settimana ho visto un documentario bellissimo. Racconta di un uomo, Franco Basaglia, che, come suo ultimo atto da direttore del manicomio di Gorizia, chiese all’Alitalia un aereo e dei piloti: voleva che i suoi “matti” potessero osservare da una nuova prospettiva, dall’alto, quel manicomio in cui ero stato prigionieri fino a quel giorno.
Il documentario racconta quel folle volo. A cui tutti siamo chiamati a partecipare.
Non basta leggere un libro in più o in meno per essere uomini e donne del nostro tempo. Serve innanzitutto avere coscienza. Proviamo a fare una statistica anche su questo?
Marco Marino