di Katia Regina
Leviamo la parola sesso dalla proposta, mettiamo un termine più neutro: sentimenti, relazioni, affettività, gestione delle emozioni... qualunque cosa purché si faccia. Di cosa sto parlando? Della necessità urgente, inderogabile, emergenziale di rendere obbligatoria l'ora di quellochedicuistoparlando in tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado. Se il problema è la parola sesso aboliamola pure dal vocabolario, almeno fino a quando ci saranno dei Pillon & C. seduti sugli scranni della Camera dei deputati. Se il loro timore è quello che possa essere diffusa la cultura gender, qualunque cosa voglia dire, rassicuriamoli mettendo per iscritto che mai e poi mai si parlerà, durante gli incontri, degli oltre cinque milioni di italiani che non si riconoscono nel sistema binario (maschio/femmina).
Come dire, ci sono, esistono, ma niente Diritti per loro, nonostante siano garantiti dall'Articolo 3, comma 1, della Costituzione italiana. Sì perché quell'articolo, non si limita a elencare specifiche distinzioni vietate (sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche), ma aggiunge la clausola "di condizioni personali e sociali”. Una formula volutamente più generica per consentire alla Costituzione di rimanere attuale e di adattarsi a nuove forme di discriminazione che sarebbero potute emergere nel tempo. Si vede che ai Padri costituenti ci parlava u core, avrebbe detto mia nonna. Perdonate la digressione, ma per parlare del recente fatto di cronaca, ossia l'omicidio della quattordicenne Martina Carbonaro, non potevo saltare questo passaggio. Aveva solo quattordici anni, e il suo assassino diciotto. In teoria studenti o comunque dalla scuola erano transitati: un'occasione persa.
Sulla famiglia non mi esprimo, quando questa non c'è, per i più svariati motivi, la sola possibilità che abbiamo è quella di intercettare il disagio a scuola. Ma nelle scuole italiane non si può rendere obbligatoria l'ora di educazione alle relazioni affettive. Non è stato fatto quando a governare era la Sinistra che, in teoria, dovrebbe essere più attenta su certi argomenti, men che mai si farà con questo governo vocato alla trinità: Dio, patria e famigli?. Ho messo la schwa per includere il fatto che molti di loro ne hanno più di una di famiglia; ma l'ho anche messa per dispetto, perché odiano pure i nuovi simboli del linguaggio inclusivo.
Un'altra giovanissima vittima sulla coscienza di una società che si dimostra incapace di proteggere i suoi membri più vulnerabili. E, soprattutto, sull'inerzia imbarazzante di una classe politica sorda, cieca e muta, che preferisce trincerarsi dietro slogan vuoti piuttosto che affrontare la drammatica realtà dei fatti. Il femminicidio di Martina Carbonaro non è un fatto isolato. È l'ennesima, straziante, dimostrazione di un fallimento sistemico, di una cronaca che si ripete con una cadenza ormai inaccettabile. Ed è inaccettabile che, di fronte a un'emergenza sociale come quella della violenza di genere e della mancanza di rispetto nelle relazioni, la risposta politica sia ancora incapace di comprendere che esiste un'età in cui queste devianze comportamentali possono e devono essere intercettate, ed è l'età del passaggio dalla pubertà all'adolescenza. La stessa età della formazione scolastica. L'introduzione dell'educazione sessuale e all'affettività nelle scuole non è un vezzo ideologico, non è un'imposizione di valori alieni. È una necessità impellente, un'ancora di salvezza per le generazioni future. Eppure, proprio su questo fronte cruciale, si assiste a un balletto ipocrita di resistenze, pregiudizi e paure infondate.
Il dibattito sull'educazione affettiva e sessuale viene sistematicamente ostacolato da visioni retrograde, da un'influenza culturale che si oppone a qualsiasi forma di progresso in nome di presunti valori familiari, che troppo spesso, purtroppo, non riescono a proteggere le loro stesse figlie. La politica si nasconde dietro un falso rispetto per l'autonomia familiare, quando in realtà è solo l'ennesima scusa per non prendere posizioni scomode, per non inimicarsi lobbies o gruppi di pressione.
Mille scuse per non attivare questo percorso nelle scuole, persino la difficoltà di individuare chi dovrebbe farlo, come se non esistessero già delle professionalità adeguate a svolgere questo compito, magari affiancate dall'insegnante di materie umanistiche: letteratura, filosofia, storia... che se trasmesse con passione potrebbero già svolgere metà del lavoro. In ogni caso insegnanti in grado di gestire le proprie frustrazioni, spiace dirlo, ma l'esempio del professore di Nola che ha augurato la stessa morte di Martina alla figlia della premier dimostra che non tutti i docenti sono degli educatori, ed è molto grave quando a cascare nella trappola del delirio social sono persone che dovrebbero aver maturato la capacità di attivare un passaggio intermedio tra lo stimolo e la risposta.
L'incapacità di istituire un percorso formativo obbligatorio e strutturato su temi vitali come il consenso, il rispetto, la gestione delle emozioni e la parità di genere, non è solo una mancanza: è una complicità silenziosa con la violenza che serpeggia.
La politica italiana non è solo inetta; è colpevole di ignavia, pur sapendo che il vero cambiamento può passare solo dal dialogo con la generazione esposta ai nuovi e vecchi pericoli e alla disgregazione della comunità educante. Si indigna a parole dopo ogni tragedia, ma riesce solo a produrre: inasprimento delle pene, braccialetti elettronici, codici rossi... pezzette calde che hanno già dimostrato di non essere dei deterrenti. Basterebbe seguire le indicazioni dei programmi raccomandati dall'UNESCO e dall'OMS, studi che hanno evidenziato come le esperienze vissute nelle scuole testimoniano chiaramente l’importanza del dialogo sul tema delle emozioni, la corporeità, l’affettività e la sessualità fin dall'infanzia, adattando modalità e tematiche all’età e al livello di maturità di studenti e studentesse. Già nella scuola dell’infanzia è possibile introdurre percorsi educativi per aiutare i bambini a riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni, comprendere il concetto di rispetto reciproco e iniziare a esplorare in modo sano il rapporto con il proprio corpo e quello degli altri.
Scegliete pure il nome da dare a questi percorsi nelle scuole, chiamateli con le parole che non vi fanno paura, mandate i controlli ministeriali durante gli incontri, prendete appunti e guardate i volti dei ragazzi e delle ragazze prima che si abbrutiscano.